Era divenuto un simbolo unico di rara bellezza (dal mio punto di vista) il murale della casa colonica sito sul lungomare Nord di Porto S. Elpidio (tra il centro vacanze La Risacca e La Playa de Cococciò). L’imponente forza del mare e la sua avanzata lo rasero al suolo diversi anni or sono, il rudere si arrese alle onde, all’impeto del mare, all’impotenza dell’uomo. Il murale raffigurava due enormi mani bianche incatenate da manette, protese verso un cuore appeso nella parte alta del casolare dove sporgevano reti rosse da cantiere. Le manette venivano spezzate da un’imponente bocca di mani che spuntava dal basso.
Un disegno semplice ma vero e nella sua semplicità rendeva il luogo molto suggestivo, soprattutto quando, passando col treno dell’adiacente ferrovia o con l’auto sulla parallela alla statale, ci si trovava a guardare questo scenario molto particolare. Quella casa era sempre lì, con la pioggia e con il sole, quei contorni bianchi “intorno agli occhi” sembravano pronti a dare il lieto benvenuto a Porto Sant’Elpidio.
Quel rudere, mai arredato, rimasto sempre allo stato grezzo, quando venne edificato aveva davanti a sé almeno una ventina di metri di spiaggia. Ma anno dopo anno, l’acqua si è inesorabilmente avvicinata, sempre più rapidamente col passare delle stagioni, finché, nel 2009, le onde arrivarono prima a lambire l’edificio, poi a provocarne il cedimento strutturale.
Prima crollò la parete affacciata sul mare Adriatico, poi ad una successiva mareggiata iniziarono a cedere anche le scale ed a sgretolarsi i muri interni. Fu proprio in quel periodo che qualche sconosciuto sprovveduto, si avventurò fino all’abitazione in procinto di finire distrutta, per realizzare il murale. Nei mesi successivi, altre giornate di correnti forti interessarono il paese e finirono di distruggere altri pezzi della struttura, finché solo una parete, quella a Ovest, rimase in piedi.
Così, quella pittura e quel muro che resistevano di fronte alle intemperie sembrarono un ultimo bastione indifeso da buttare giù. Alla fine, ahimè, anche le gigantesche mani bianche si schiantarono rovinosamente sulla sabbia, mattone dopo mattone scomparve del tutto (se non erro nel novembre del 2011).
Una vittima del mare, della natura, dell’incuria umana o un monito all’erosione costiera, all’avanzata dell’acqua, all’arrendevolezza popolare?? (PAUSA DI RIFLESSIONE). In realtà all’inizio forse quasi nessuno fece caso alla sua assenza, come se quel dolce addio silenzioso non volesse disturbare nessuno. Una richiesta d’aiuto forte ma pacata, urlata ma in silenzio e ascoltata solo dalle profonde radici degli alberi. Ma poi col passare del tempo vagheggiava nell’aria un’assenza, si sentiva una mancanza, gli occhi preoccupati sbattevano a destra e sinistra scossi dall’incapacità di scorgere di nuovo quel rudere selvaggio, quel murale tanto caro che come la siepe Leopardiana il guardo escludeva.
E allora tutto d’un colpo, il respiro si affannò, il cuore batté forte, gli occhi si arrestarono. Cadde la malinconia e la consapevolezza. Cadde dentro di me il mattone del silenzio (10 SECONDI DI SILENZIO PER RISPETTO).
E così un simbolo se ne andò per sempre, ma quelle mani bianche che spezzavano le catene rimarranno impresse nella mente di coloro che le videro dal vivo, come se quella casa fosse ancora lì ad inneggiare alla rivoluzione, alla voglia e al desiderio di libertà.
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