I giornalisti in Italia appartengono a un’unica generazione, quella dei precari; e il fallimento del sistema giornalistico è già annunciato.
Crisi dell’editoria: giornali vs testate online
Crisi dell’editoria e rivoluzione digitale. Cosa sta succedendo? L’analisi. L’editoria in Italia (e anche nel resto del mondo) sta attraversando un grande periodo di crisi ed evoluzione. La cristallizzazione tipica del settore è stata ormai travolta da 15 anni di social ed evoluzione dei media, ma non si vedono soluzioni all’orizzonte. In tutte le sue variegate e mutevoli forme, l’editoria è in crisi.
Come sono cambiate le informazioni e i giornali negli anni? Cosa è successo al Corriere Adriatico e al Resto del Carlino? Invece i giornali online gratuiti (editoria completamente digitale) come Cronache Fermane, Vivere Fermo, Ancona Today, ecc… acquistano sempre più target che apparteneva all’editoria classica e diventano più forti se si coalizzano in network geolocalizzati.
Si vendono sempre meno giornali e si legge sempre più da internet. Questo perché anche le persone anziane si sono digitalizzate colmando quel gap di “ignoranza digitale” che invece era presente 10/15 anni fa. Oramai tutti hanno il cellulare in mano dal ragazzino di 10 anni al 75 enne e riescono a navigare per trovare l’informazione gratuita a discapito di quella a pagamento.
Questa rivoluzione digitale ha portato ad una crisi editoriale non solo di giornali ma anche di giornalini con conseguente chiusura di molte edicole. L’editoria sta cambiando profondamente e la carta è sempre meno conveniente, perché più costosa, dei bit.
Radio vs podcasting
Anche le radio stanno soffrendo perché debbono competere con i podcast che possono offrire contenuti molto interessanti senza tutta quella pubblicità che passa la radio e on-demand.
Pertanto mentre i giornali classici debbono competere con le testate online di pari passo le radio debbono competere con i podcaster che sfruttano sia piattaforme dedicate come Spotify ma anche piattaforme video come YouTube per un contenuto multimediale a 360° fatto di visione, ascolto, interazione. Quale sarà il futuro dei giornali classici e delle radio classiche?
Crisi dell’editoria e dignità per i giornalisti precari: l’appello della giornalista Francesca Pasquali
Ciao, mi chiamo Francesca Pasquali, ho 42 anni e faccio la giornalista. In realtà, dovrei dire facevo, visto che da più di un anno non pratico. Fare la giornalista era il mio sogno fin da bambina. Quando da piccola mi veniva chiesto cosa avrei voluto fare da grande, non avevo dubbi.
Ho frequentato il Liceo classico, poi la facoltà di Scienze della comunicazione. Dopo la laurea, ho collaborato per due anni con la redazione di un quotidiano online. Per ottenere l’iscrizione all’Albo dei giornalisti (registro Pubblicisti) mi sono dovuta rivolgere a un avvocato, visto che la testata con cui avevo collaborato non mi aveva mai pagata. L’Ordine ha bloccato la pratica perché non potevo dimostrare di aver ricevuto il compenso minimo previsto per ottenere l’iscrizione (e infatti non l’avevo ricevuto). Nel frattempo, l’editore della testata si è reso irreperibile e ho dovuto aspettare quasi un anno per ricevere la tessera. Insomma, un esordio non proprio dei migliori.
Il corrispettivo non dignitoso
Poco dopo, sono stata assunta da una casa editrice. Formalmente ero un’impiegata amministrativa, di fatto facevo la giornalista. Dopo sei anni sono stata licenziata per ridimensionamento del personale. Per i sei anni successivi ho collaborato con la redazione di un quotidiano. La collaborazione – e arrivo al punto – si è interrotta per mia decisione. Una decisione terribilmente sofferta, ma non più prorogabile.
Venivo pagata ad articolo, troppo poco per il lavoro che svolgevo. Il compenso mensile si aggirava, quando andava bene, sui 600-700 euro lordi, a fronte di un impegno quasi quotidiano, da mattina a sera. Mi venivano assegnati gli articoli più impegnativi, poi pubblicati nelle prime pagine del giornale. Per scriverli, il più delle volte dovevo svolgere un lungo lavoro di ricerca. Mi sono stati affidati incarichi e responsabilità che non mi competevano. Gli orari sono diventati sempre più impegnativi. Conciliare vita lavorativa e personale sempre più difficile. Ho perso il conto delle volte in cui ho dovuto cambiare programmi o disdire appuntamenti già presi perché richiamata dopo aver terminato il mio lavoro.
Ho sopportato questa situazione perché avevo bisogno di lavorare e perché fare la giornalista mi piaceva, e mi piace ancora tanto. Ho resistito finché ho potuto. Ho tagliato dove potevo tagliare, ma, con affitto e spese quotidiane, alla fine, andare avanti mi è diventato impossibile.
Avvocati e tribunale
Ho fatto presente la situazione alla redazione e al direttore della testata, ma le mie richieste sono rimaste inascoltate. Mi sono dimessa. Mi sono rivolta a un’avvocata e ho avviato una causa per provare a vedermi riconosciuto quello che, sono convinta, mi spetti. Non l’ho fatto per desiderio di rivalsa, ma per ridare dignità a me e a un lavoro che in troppi casi non ne ha più.
Ho passato due mesi chiusa in una biblioteca a scansionare tutti gli articoli da me scritti in sei anni. Ho passato al setaccio centinaia di file. Ho raccolto tutto il materiale che sono riuscita a trovare. Nella prima udienza del processo la controparte ha preso tempo. Il 23 gennaio c’è stata la seconda udienza.
Si prospetta un processo lungo. Di solito, i grandi editori non hanno problemi ad andare avanti, se necessario, fino all’ultimo grado di giudizio. Per me il discorso è diverso. La mia avvocata non mi fa pressioni, ma non vorrei farla aspettare troppo.
La raccolta fondi
Le trasferte (il tribunale è in un’altra regione rispetto a quella in cui risiedo) hanno il loro costo, così come le consulenze dei periti a cui dovrò rivolgermi. Ma so che, arrivata a questo punto, andare avanti è l’unica cosa che posso e che devo fare. Per questo, ho deciso di aprire questa raccolta fondi. Ogni piccolo contributo sarà importante.
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