Il mare dentro è il nome dedicato al Festival approdato a Porto San Giorgio in questi giorni di fine Luglio. Tra gli innumerevoli ospiti della manifestazione dedicata al mare questa sera è toccato al filosofo Diego Fusaro uno dei pochi filosofi italiani capace di vendere libri e posizionarsi in classifica tra i libri più venduti. Fusaro, introdotto da Gino Troli, ha ripreso le narrazioni dell’acqua, del mare, dei suoi innumerevoli nomi e della storia legata agli antichi scritti di filosofi greci.
L’economia dell’acqua
L’economia dell’acqua, del talasso [dal gr. ϑαλασσο-, forma assunta in composizione da ϑάλασσα «mare»; lat. scient. thalasso-]. Primo elemento di parole composte, derivate dal greco o formate modernamente nella terminologia scientifica, che significa «mare» o indica in genere relazione col mare.
Anassimandro, Talete, Eraclito, ecc… fino ad arrivare ad Hegel molto citato da Fusaro. Il tema del mare non poteva non toccare l’argomento per eccellenza riguardante i migranti; a richiesta soprattutto della platea con domande inerenti: Fusaro sottolinea come negli ultimi decenni siano scomparse le parole immigrati ed emigrati, che indicavano la direzionalità del flusso migratorio, sostituite nei primi anni 2000 dal participio presente del verbo migrare: migranti; la società è sempre più talassica, in continuo movimento nel mondo. Il capitalismo vuole cancellare le radici e le identità dei popoli. Dopotutto l’essere umano senza un’identità, senza un’idea di pensiero, senza un motivo per ribellarsi è simile ad un oggetto ad un prodotto da usare. Un po’ come quella privazione di identità relegata nel secolo scorso agli ebrei, identificati non più con un nome e cognome ma con una serie numerica.
Noi migranti della cultura globalista
Stiamo tutti diventando dei migranti, costretti dal sistema a spostarci sempre di più perdendo il contatto con quella che era la nostra cultura, i nostri ideali, le nostre battaglie vinte. L’annientamento dei diritti acquisiti è l’obiettivo primario del sistema capitalistico che vuole omologare e uniformare le masse.
Peraltro, la storia greca fino alle guerre persiane può esser descritta in termini di potenza navale: da sempre, fin dalle sue origini, come testimonia Tucidide all’inizio de Le guerre del Peloponneso, dove dà conto dei primi progressi della marineria dell’Ellade, e poi via via nel resoconto puntuale delle vittorie dovute al dispiegarsi della sempre più sofisticata potenza navale di Atene, fino e oltre l’età di Pericle.
Atene, già alla vigilia della seconda guerra persiana, si era trasformata in una effettiva talassocrazia.
La talassocrazia
«È la talassocrazia ad imporre la forma democratica. Il dominio del mare esige che abbia il comando “il popolo che muove le navi” (Costituzione degli Ateniesi, I, 2). Se, per principio, il fine dell’utile vuole l’arché dell’“ignobile”, nella presente effettuale situazione della città la democrazia è imposta dall’esigenza di dominare il mare» [fonte: M. Cacciari, Geofilosofia dell’Europa].
Da ateniese ammiratore di Sparta, Platone considera tutto il pericolo insito in un’espansione eccessiva degli interessi commerciali, nella spinta al guadagno, nei trucchi dei mercanti, nei costumi importati dagli stranieri, nella corruzione che può imporsi nei bassifondi portuali. Al punto da sconsigliare alla polis il possesso di foreste in grado di assicurare legni adatti alla costruzione navale. Così, se il pino serve per la costruzione delle triremi, è un bene che manchi nel territorio della città ideale. In questi accenti, si avverte in Platone l’eco, qui sì talassofobica, di Isocrate che, confrontando la forza terrestre e quella navale, aveva osservato che la prima esige obbedienza, ordine e padronanza di sé, mentre la seconda non sarebbe che un insieme di tecniche. Motivazione che anche Platone in parte accoglie, ridimensionando le vittorie ottenute sul mare, ascrivibili soprattutto a fattori tecnici che, per quanto rilevanti, possono finire addirittura col supplire all’eventuale mancanza di coraggio dei combattenti.
Invece in generale gli intellettuali Romani non amavano il mare e Roma ha imposto la propria talassocrazia al Mediterraneo lasciando gestire e guidare la propria flotta da ”specialisti” originari soprattutto del bacino orientale, specie Fenici, i “carrettieri” della costa siriaca [Guarracino 2007]. Ciò detto, è anche vero che è stato centrale il ruolo di Roma nel rendere il Mediterraneo un mare che unisce, piuttosto che uno che divide:
la prima, e ultima, unificazione politica del Mare Nostrum si deve
appunto ai Romani. Ha ragione Braudel a ricordare che non è il
mare a unire, ma sono i suoi popoli a farlo.
Approfondimenti: Anche il mare sogna – Luciano De Fiore