Su una delle ultime colline prima del mare, c’è una torre da salvare. L’ultima fortificazione rimasta di questo genere. Senza di essa, il paesaggio non sarebbe più lo stesso. Ci troviamo nel comune di Fermo in località San Marco alle Paludi con la sua splendida chiesa dell’XI secolo.
Tale struttura è conosciuta come Torre Matteucci alle Paludi (o anche come Rocca di San Marco alle Paludi) e denominata alle Paludi per distinguerla da Torre Matteucci situata nei pressi del centro storico di Fermo.
Torre Matteucci – La storia
Il profilo della torre che si staglia sulla sommità di questa collina è inconfondibile. Anche se non si hanno molte notizie sulla sua storia, negli antichi documenti qualcosa è stato trovato. Sembra sia stata fondata a scopi militari intorno al XIV secolo. Sorge in cima alla collina che sovrasta la chiesa (ex-monastero) di San Marco alle Paludi. La leggenda vuole che il monastero e questa torre fossero unite da una galleria sotterranea da utilizzare come via di fuga.
In origine era una delle tante torri di avvistamento che la città di Fermo si preoccupò di far costruire nel suo circondario per scrutare in lontananza tutti quelli che mostravano ostilità contro il Comune: poche comunicazioni per mezzo di segnali ottici (fumate, fuochi, riflessi luminosi) e tutti i cittadini fermani in grado di reggere la balestra o l’archibugio si riversavano sulle mura turrite e merlate pronti a battersi all’ultimo sangue, se necessario, contro popoli conosciuti e sconosciuti.
Torre Matteucci – La difesa della Turris Speculatrix
La difesa della “Turris Speculatrix”, oggi detta Torre Matteucci alle Paludi, veniva normalmente affidata a un piccolo contingente di soldati ben armati, vettovagliati e approvvigionati: le 8 feritoie da moschetto otturate e in parte trasformate in piccole luci e il coronamento di merli e piombatoi primitivo (da non confondere con quello attuale), garantiscono che una quindicina di uomini erano più che sufficienti ad esercitare una rigorosa sorveglianza.
La torre, comunque, in caso di necessità, riusciva forzatamente ad alloggiare un centinaio di persone insediate nei dintorni, monaci di San Marco alle Paludi inclusi. Per molto tempo si pensò che l’appellativo “Matteucci” fosse, insieme ad altre torri presenti nel fermano con lo stesso epiteto, dovuto al nome della famiglia che volle la sua realizzazione. In realtà, successivamente, si affermò sempre più la tesi che la torre assunse tale denominazione solo dopo essere divenuto un possedimento di tale potente e nobile famiglia.
Torre Matteucci – Tardo Medioevo
È la sola torre pervenutaci tra gli esempi fermani del tardo Medioevo, dal momento che ha resistito alle invasioni del mondo occidentale e ha trionfato sulle insidie degli Stati limitrofi. Presenta una pianta quadra con merlatura alla ghibellina (a coda di rondine) e misura 5,69 x 5,69 metri in larghezza, e 13,4 metri in altezza (all’interno le volte sono arco a tutto sesto).
Libero finalmente il “mare nostro” dall’incubo delle incursioni turche e terminati gli stati questi endemici di agitazione e di guerriglie che comportavano costanti e severe vigilanze, i militari svanirono dalla “Turris Speculatrix” per lasciare il posto ad un pugno di coloni che organizzarono la loro esistenza intorno alla torre. Questo evitò il formarsi dei segni della decadenza ma contribuì sostanzialmente ad alterare l’aspetto originale.
La vita della Chiesa di S. Marco si trascinò in dipendenza dei Canonici regolari di S. Caterina fino ai primordi del secolo XIX, quando le leggi Napoleoniche del 1810 sopprimevano le corporazioni religiose, dopo tale data l’istituto Lateranense non venne più ripristinato a Fermo. Con la soppressione i terreni delle Paludi, appartenenti ai Lateranensi, passarono ai loro creditori, dai quali li acquistava, il 24 aprile 1820, Giuseppe Rosati da Maltignano.
Una torre dei Conti
Giovanni Cicconi a riguardo della decadenza testimonia: “… non sfuggì interamente al vandalismo neppure essa la torre Matteucci alle Paludi, giacché, non si sa quando, venne decapitata abbattendosene la merlatura e prima che passasse ai Conti Vitali fu adibita a colombaia e poi servì persino da comodo e indisturbato nido di falchi; ma tanto poté evitare la sorte delle altre torri di avvistamento del fermano, diroccate dalle fondamenta; e non fu poco!”.
Nel tempo tutte le feritoie che consentivano l’uso delle armi da corda e da fuoco vennero trasformate in piccole luci e nicchie utilitarie, mentre la porticina che permetteva, per mezzo di scale, l’accesso alla torre accrebbe in larghezza per comunicare comodamente con l’edificio colonico che venne ad interessarla. Anche la merlatura venne ricostruita interamente agli inizi del novecento sulle tracce di quella vecchia.
Oggi, più che mai, la Torre Matteucci alle Paludi ha bisogno di essere salvata essendo un bene culturale italiano. La crisi sismica del settembre 1997 ha causato dissesti murari sul lato sud-nord della Torre che, dichiarata inagibile, necessita di un intervento di consolidamento. Il terremoto del 2016 l’ha messa di nuovo in pericolo e sono state inserite delle barre in acciaio di tenuta che permettono di fermare meglio la struttura.
Il simbolo araldico, ancora visibile sulla parete della torre, riporta una vite con tre grappoli d’uva a testimonianza dell’importanza che aveva questo tipo di coltura sin dal Medioevo.
Fonti di approfondimento
- San Marco alle Paludi di Fermo; Giovanni Cicconi; pg.60; 1915.
- La torre Matteucci alle paludi. Ultimo esempio di “Turris Speculatrix” avanzata della città di Fermo; Girolamo Luigi; Flash, Enciclopedia Picena, n°161 pg.44-45; 1991.
- Torre Matteucci in degrado, interventi necessari ma mancano i fondi; Roberto Iacopini; InfoFermo.it; 8 giugno 2012 (SITO OFFLINE).
- https://www.regione.marche.it/Regione-Utile/Cultura/Catalogo-beni-culturali/RicercaCatalogoBeni/ids/69728
Torre Matteucci – Tour cicloturistico
Sin da piccolo mi ha sempre attratto mentre con l’auto passavo sulla strada per andare da mia nonna. Ogni volta osservavo con curiosità quella fortezza che mi osservava dall’alto mentre a mio padre chiedevo a chi apparteneva e perché era stata costruita. Una curiosità che non è mai passata e tutt’oggi sono tornato in quel posto in sella alla mia bici dato che l’ho visto sempre da lontano con gli occhi curiosi di un bambino.
L’investimento in vitigni del Marchio Fausti e la valorizzazione territoriale
Dalle colline lungo l’Adriatico, alle pendici del Monte Ascensione e in vista dei monti Sibillini, le caratteristiche del territorio limitrofo a Torre Matteucci hanno reso possibile la coltivazione con successo di svariate qualità prodotte dall’azienda Fausti vini: tre tipologie di Montepulciano (Monteprandone, Fermo, Conero), Sangiovese da Montalcino, Syrah dalla Provence, Pecorino e Passerina. La torre è diventata il simbolo del vino di loro produzione e viene pertanto rappresentata su ogni bottiglia.
Il marchio Fausti nasce per iniziativa di Domenico D’Angelo e Cristina Fausti con il preciso scopo di creare una struttura armoniosamente integrata nel territorio che da sempre amano e in cui sono cresciuti. Una missione sfidante che non li ha intimoriti, forti delle esperienze raccolte in tanti anni tra le vigne. Il legame a doppio filo con la terra, la combinazione perfetta tra alta densità di ceppi per ettaro e bassa produzione di uva per ceppo hanno portato a risultati eccellenti. Un passo importante da fare per essere coerenti con lo spirito aziendale è stata la conversione alla coltivazione biologica dei totali 20 ettari di vigna, divisi tra il comune di Fermo ed Offida.
Nel 2015 l’incontro con la Famiglia Amici del Lazio che, attingendo a piene mani alla filosofia e alle competenze dei precedenti proprietari, ha dato nuovo impulso e vigore alla costante ricerca di vini capaci di toccare il cuore di chi li assaggia.
La location
Torre Matteucci alle Paludi è un bene culturale protetto di proprietà privata.
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